MG2020: a Maribor accompagnati da una nomade digitale

Nome progetto: MG2020

Luogo: Maribor, Slovenia

Data: 1 Ottobre -24 ottobre 2017

Scuole coinvolte: I.I.S. F. Corni Liceo e Tecnico (Modena); I.T.C.S. G. Salvemini (Casalecchio di Reno); I.I.S. Belluzzi-Fioravanti (Bologna)

Enti coinvolti: Uniser, Zavod Za Novodobn Izobrazevanije (Zni)

Ciao! Mi chiamo Sonia, sono una traduttrice e una nomade digitale in divenire: non disdegno la scrivania di casa, ma ogni tanto è bello anche caricarsela in spalla e partire per nuove avventure.

Quella che vivrò nelle prossime settimane a Maribor è decisamente una grande avventura perché accompagnerò un gruppo di dieci ragazzi per il loro tirocinio nell’ambito del progetto MG2020.
È un’avventura per loro, perché molti per la prima volta si troveranno a lavorare in un ambiente estero completamente diverso, ma è un’avventura anche per me, perché per la prima volta sarò l’accompagnatrice di un gruppo in scambio.

Non prendetemi però per una sprovveduta: è la mia prima esperienza, ma non vuol dire che non sia preparata a quello che potrebbe succedere.

Da anni ormai viaggio in solitaria, dopo qualche viaggio fatto in compagnie di varie dimensioni. I viaggi dove tutto è organizzato nei minimi dettagli non mi sono mai piaciuti, ho sempre sentito il bisogno di “arrangiarmi” e cercare di trarre il massimo dal viaggio. Durante la mobilità a Maribor ho intenzione di trasmettere ai ragazzi quello che so sull’arrangiarsi, perché sono convinta che non esistano problemi irrisolvibili e credo che “andrà tutto bene” (NdT: tipico adagio fatalista russo, ma che io interpreto in modo ottimista come “fai del tuo meglio e andrà tutto bene”).
I viaggi mi hanno portato a vivere le avventure di vita quotidiana all’estero più disparate: dallo sciacquone dello studentato sovietico che non funziona al dramma di sentirmi rumorosa in un Paese silenzioso, passando per leve improbabili usate per aprire forni privi di maniglie. Ne ho passate delle belle, ma la voglia di viaggiare e fare esperienze non mi è ancora passata. E forse proprio per questo non mi passerà mai.
Se io sono sopravvissuta, perché non insegnare anche ad altri che si può fare? Perché non considerare l’arrangiarsi come un’abilità trasferibile?

A una giornata di formazione all’università ho conosciuto Uniser. Ci hanno spiegato che esistono progetti di scambio per tirocini rivolti ai ragazzi delle scuole superiori (mentre io pensavo, sbagliandomi, che l’Erasmus+ fosse solo per le università), e che a questi ragazzi serve una figura che li accompagni durante la loro esperienza.
Mi è subito sembrata una bellissima occasione: finalmente avrei potuto mettere in pratica in un’esperienza lavorativa quello che ho imparato viaggiando.

Durante questa esperienza mi aspetto di aiutare i ragazzi a capire che, superato lo shock iniziale, inevitabile quando si lascia la propria realtà “domestica”, si può perlomeno sopravvivere, se non addirittura ambientarsi e sentirsi un po’ parte dell’ambiente che ci accoglie. Voglio che capiscano che ogni tipo di problema si può risolvere, soprattutto se si è in gruppo e si cerca una soluzione insieme.

Ho già conosciuto i ragazzi durante l’incontro di formazione pre-partenza e mi sembrano carichi e in gamba. Secondo me riusciremo a formare un bel gruppo e a rendere l’esperienza a Maribor indimenticabile – ovviamente in senso positivo. Per il momento il problema più grande mi sembra quello di riportarli con i piedi per terra e fare in modo che l’eccitazione per il viaggio non comprometta l’esperienza lavorativa, ma ce la faremo. Agli altri eventuali problemi penseremo man mano che si presentano (come si dice, è inutile fasciarsi la testa ora).

A questo punto potrebbe sorgere spontanea una domanda: a cosa serve un’esperienza del genere?

L’esperienza è principalmente per i ragazzi: un tirocinio è sempre utile, perché ti aiuta a mettere in pratica cioè che hai imparato a scuola, un tirocinio all’estero ti permette di vedere una realtà diversa da quella italiana, di apprendere nuovi metodi di lavoro e di avere quindi quell’apertura mentale che sempre più spesso serve anche nelle professioni tecniche, dove innovazione e internazionalizzazione vanno ormai di pari passo.
Però servirà anche a me, anche se di prim’occhio sembra che non c’entri nulla con la professione del traduttore. In realtà serve tantissimo, perché dimostra che “capacità di problem solving”, “affidabilità”, “capacità organizzative” non sono solo espressioni fisse da inserire in un curriculum, ma hanno un riscontro anche nella pratica e nel lavoro.
Oggi pensare fuori dagli schemi (che siano gli schemi del proprio Paese, della propria professione o altri) e mettersi in gioco è sempre più importante per riuscire non solo nel lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni.


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