“Avete mai pulito un calamaro” e poi: “Come si dice retromarcia in spagnolo?” Succede solo a Siviglia, con ETHOS

 “Avete mai pulito un calamaro? Non fatelo. Gli devi proprio staccare la testa: orribile. Alla fine dopo due tre giorni ho imparato ed è diventata un’abitudine” racconta Paolo, nel suo ultimo giorno a Siviglia, riflettendo su cosa è stata per lui l’esperienza di tirocinio all’estero come aiuto chef.

Ha fatto parte di un gruppo di 12 ragazzi e ragazze di diversi Istituti tecnico-professionali di Roma che il 19 Settembre è partito per la capitale dell’Andalusia per svolgere tre settimane di tirocinio in hotel, negozi e servizi turistici grazie al progetto Erasmus+ ETHOS II. Come si intuisce dalle parole di Paolo, l’inizio di un’esperienza del genere può essere inizialmente difficile ma alla fine, come scopriremo, anche molto divertente.

Giulia (S) confida “Avevo delle aspettative bassissime, pensavo che non sarebbe filato tutto liscio. Soprattutto quando mi hanno detto che avremmo vissuto in famiglia. (Inoltre) ero un sacco preoccupata per la lingua perché comunque a scuola impariamo solo grammatica”. Dalla conoscenza della lingua, alla paura di non fare amicizie fino al non sapere cosa aspettarsi sul luogo di lavoro, i ragazzi sono stati protagonisti di molte challenges mai affrontate prima, che, nel ricordare più la vita adulta che la comfort zone a cui sono abituati, possono naturalmente aver intimorito.

Ioan racconta “Per me il problema non era legato al fare amicizia, non ho mai avuto problemi. Mi sono messo paura all’inizio quando guardavo a tutti i documenti che dovevo compilare”. Tuttavia, con il passare dei giorni queste prime insicurezze sembrano essersi dissolte nell’aria. I ragazzi hanno appreso a cogliere dalle difficoltà qualcosa di diverso: un strumento per imparare, crescere e formarsi. Ognuno, con i propri mezzi, è stato capace di superare gli scalini iniziali.

“All’inizio avevo un sacco di ansia del lavoro, se non andavo bene, di essere cacciata. Poi lo staff mi ha accolto e mi sono trovata bene anche con gli altri ragazzi del gruppo. Il fatto di non essere da sola a lavoro, ma con un’altra tirocinante, mi ha aiutato un sacco. (Inoltre) sapevo che le famiglie sono selezionate, ma non ero sicura. Poi il fatto di vivere insieme alle altre ragazze mi ha dato una spinta in più ‘stiamo tutte insieme non ci ferma nessuno’, ho pensato” racconta Valeria.

Anche Chiara inizialmente ha vissuto il lavoro come un muro insuperabile: “Il momento più critico è quando pensavo che il mio lavoro fosse orribile, all’inizio. Mi sono dovuta mettere faccia a faccia con una persona gerarchicamente più alta di me”. Anche lei ha compreso e superato interamente con le sue forze, questa prima fase: “Poi ho capito che dovevo andare avanti e rivedere tutto, ero proprio contenta. È stato bruttissimo dover salutare l’ultimo giorno”, confida. Superati gli ostacoli iniziali, i ragazzi hanno ingranato con tantissima grinta verso una quotidianità e una ruotine di lavoro professionale e di scoperta di una nuova cultura. Infatti, una grande parte della crescita avvenuta durante queste tre settimane è stata data dalla possibilità di mettere nel pratico delle conoscenze che i ragazzi avevano acquisito fino ad allora solo a livello teorico.

Paolo racconta “Ho imparato un sacco di cose in cucina. Per esempio inizi a capire come lavorare sotto pressione. A scuola questo non succede”. Per quanto riguarda il lato culturale, già dalla prima settimana anche la lingua spagnola ha preso a fluire e il rapporto con le persone è così migliorato.

Michelle racconta “All’inizio avevo difficoltà con la lingua, però invece poi dopo un po’ sono riuscita a comunicare tutto e parlargli (riferendosi ai datori di lavoro) anche di problemi. La comunicazione è stata infatti la chiave per ogni tipo di situazione o incomprensione, come dice Marika “All’inizio dal lavoro mi aspettavo qualcosa di diverso, poi abbiamo parlato con i responsabili”. Come risaputo, la lingua spagnola è molto vicina a quella italiana, infatti le paure iniziali legati alle barriere linguistiche si sono sciolte immediatamente, ma sono rimasti comunque degli episodi isolati ironici e divertenti di confronto tra due culture sorelle, ma non gemelle. Come per esempio quando Valeria si è ritrovata a dover comunicare ad una turista di fare retromarcia. “E ora, ho pensato, come si dice retromarcia?? Allora ho iniziato a mimarla alla signora, non avevo altre soluzioni, il cancello si stava per chiudere”. 

Flavia (P) ammette “Il fatto che fosse il primo viaggio da sola mi eccitava più che impaurire”. Tuttavia, un’ esperienza di tirocinio può rivelarsi molto diversa da un classico viaggio nel momento in cui i partecipanti alloggiano in una famiglia, altra situazione di ostacolo iniziale ma sempre di crescita e auto-formazione incomparabile. Vivere in un contesto abitativo diverso da quello a cui si è abituati può dare infatti insicurezza, far paura e desiderio di stare altrove, magari proprio nella casa che ospita i tuoi compagni di classe: “Famiglia come contesto, la casa, la persona che ci abita, il numero di persone, il tutto mi allarmava. Era solo una signora anziana con un gatto isterico. Poi il gatto si è lasciato toccare e alla fin fine così mi sono messa alla prova e ho imparato a superare questa mia paura.

La casa delle altre era quel concetto di famiglia concreta e l’arredamento era più moderno della casa dove stavo io” dice Flavia (F). La stessa ci racconta che “questo proprio pero’ è stata la mia fortuna perché ho potuto mettermi in gioco”. Infatti, tutti ragazzi concordano sul fatto che sono state proprio quelle persone, situazioni e circostanze fuori dall’abituale comfort zone ad avergli permesso di esplorare dei lati di loro stessi che non conoscevano, mettersi in discussione e realizzarsi. 

Tutte le difficoltà iniziali sembrano state essere superate dai ragazzi con successo grazie alla condivisione della loro esperienza e di come la stessero affrontando tra di loro, ma anche con le famiglie ospitanti e con i datori di lavoro.

Maybeline ha confidato “Non mi ero mai staccata dalla mia famiglia. Andare in un altro paese, da sola, senza nessuno. Il primo giorno qui mi sentivo spaesata. Poi questa sensazione è andata via nel momento che ho condiviso i miei pensieri con gli altri del gruppo e anche con le persone dal lavoro che, per quanto fossero molto più grandi me, mi hanno compreso e reso questa esperienza indimenticabile”.

Infatti, i 12 ragazzi e ragazze di Roma hanno trovato un equilibrio e un legame molto stretto tra loro che oltre a fargli vivere l’esperienza in compagnia, gli ha permesso di viverla al meglio e con grande forza. La prima cosa che racconta Giulia (M) quando le viene chiesto di parlare di come si sente pre-rientro, la sua risposta è proprio riguardo la forte amicizia che ha sviluppato “un gruppo così davvero non me l’aspettavo”. Paolo conferma, infatti “già dal primo giorno ho capito che saremmo andati d’accordo”. 

Nel complesso, tra confronto culturale e linguistico, ambito lavorativo professionale e nuove conoscenze, tra amici e famiglia, i 12 ragazzi partiti da Roma il 19 Settembre, il 10 Ottobre, dopo tre settimane, hanno creato una nuova vita nella città di Siviglia, piena di nuove ed eccitanti aspettative. Si salutano quasi con le lacrime, ma sanno non è un addio.Rega, allora a San Fermin ritorniamo qui! Il mio capo ha detto che mi aspetta!”. 


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