“Un Erasmus ti cambia, ma alla fine del viaggio sei ancora tu”

Grazie all’Accreditamento Erasmus+ della Fondazione Gramsci, tre ragazzi sono partiti per un intenso viaggio di 3 mesi a Granada, ospitati dal nostro partner MEP Europrojects.

Di seguito, un intensa riflessione su quest’esperienza.

“Una semplice scelta può cambiarti totalmente? O è il modo in cui tracci e percorri la tua strada a farlo? Scopriamolo insieme.

Un Erasmus ti cambia.

Quante volte abbiamo sentito pronunciare queste parole?

Parole a cui crediamo, certo, ma che risuonano vere solo nell’anima di chi un Erasmus lo ha portato a termine… o ha almeno avuto il coraggio di cominciarlo.

“Coraggio”… un’altra parola familiare, eppure mai pronunciata a cuor leggero. Serve determinazione per lasciare casa propria, per decidere di convivere con sconosciuti e circondarsi di una parte di mondo verso cui si è estranei.

Se è la vostra prima volta all’estero, queste condizioni possono farvi tremare le gambe e magari spingervi a rinunciare come stavo per fare io.

“Che ci vado a fare così lontano?”

“E se poi va’ male? No, posso fare le stesse cose qui a casa!”

Sono solo alcuni dei pensieri che potrebbero passare per la testa, lo so bene.

Eppure eccomi qui, a raccontare di come indugiare sia inutile, di come ho avuto chi mi ha spinto a cogliere un’occasione unica… a rischiare per andare in cerca della mia felicità.

Molti, al contrario, non sono così fortunati, perciò spero che leggere queste parole possa aiutarli a prendere il volo così come io e i miei due compagni di viaggio. Abbiamo insieme spiegato le ali, alla ricerca di un tesoro che nessuno di noi si aspettava di trovare nel cuore dell’Andalusia spagnola, a Granada.

Se lo venite a chiedere a me, la peggior convinzione che può balenare nella testa di un essere umano è quella di “non essere adatto”, in qualsiasi ambito: non adatto a un luogo, a un’attività, alle persone, persino al vivere.

Ci viene insegnato che il nostro posto è uno soltanto; ci viene imposto di seguire orme che spesso non fanno altro che girare in tondo. Al resto non siamo adatti.

È così facile cadere in questa trappola che ci si dimentica l’origine di ogni cosa: una scelta.

Vincere un Erasmus non ti costringe a venire spedito in giro per l’Europa, devi scegliere di partire, e per quanto mi riguarda è uno dei passi più importanti, perché ti mette nell’ordine delle idee che da quel momento in poi sarai in pieno controllo delle tue facoltà.

Per me è stato così, nonostante fossi convinto di non essere adatto a un’esperienza del genere.

L’ansia mi divorava, eppure ho deciso di raccogliere quella scintilla di amor proprio di cui sentivo necessariamente bisogno, e appena ho messo piede sull’aereo sapevo in cuor mio di aver fatto la scelta giusta.

La verità è che non esistono i luoghi a cui non siamo adatti, ma solo quelli a cui decidiamo di non appartenere.

Ognuno di noi ha un’indole differente e questo non deve costringerci ad omologarci a una convinzione unica, piuttosto spingerci a creare il nostro piccolo paradiso.

Una volta compreso questo concetto, ho ricominciato a respirare.

Ho accettato che non tutto dovesse essere perfetto, che dovevo smetterla di cercare di essere qualcuno che non volevo diventare… ho cominciato a dimenticare la mia mania del controllo e a cercare ciò che poteva rendermi felice.

E l’ho trovato.

Senza dubbio ho avuto fortuna, sia con le persone che con il lavoro, ma il resto lo abbiamo costruito noi, ricordo su ricordo.

Con molta probabilità, se raccontassi delle mie esperienze in Spagna a qualcuno, non ci troverebbe le stesse cose che ci vedo io, magari arriverebbe a considerarle banali o non meritevoli di tutte queste righe di testo.

Ma questo è ciò che un Erasmus dev’essere: una melodia che risuona solo nella tua anima, e in quella di chi ha scelto di condividerla con te.

Perché che siano mattinate spese a cercare di aprire un armadio, pranzi di fortuna preparati mentre si dorme in piedi, pomeriggi in pellegrinaggio sui monti per riposarsi tra gli ulivi, serate passate al cinema nel vano tentativo di tradurre una lingua sconosciuta, oppure una notte intera a correre tra i monumenti di Granada… ciò che rimane alla fine sei tu.

E guardandomi indietro cerco di ripescare tra le memorie di ciò che ormai rappresenta un battito di ciglia, o una goccia nel mare del tempo, domandandomi se possa davvero permettermi di pronunciare queste parole. Mi sono dimostrato “adatto”? Devo temere le conseguenze?

La perfezione non esiste. Nulla è solo “bianco” o “nero”, nemmeno un Erasmus: i problemi ci sono stati, le difficoltà tra di noi e le incomprensioni sul luogo di lavoro così come in casa.

Nonostante ciò, non riesco a fare a meno di sentire quella melodia, la quale mi guida attraverso questa zona grigia di emozioni ancora difficile da deglutire.

Avrei potuto fare di più?

Avrei potuto scegliere diversamente?

Che ci sono andato a fare in un posto così lontano?

E alla fine, potevo fare le stesse cose anche a casa?

Domande la cui risposta giace già dentro di me. Perché in fin dei conti, ho imparato a seguire il corso degli eventi. Spesso ciò che ci trattiene dal compiere una scelta non è altro che un problema creato da noi stessi e che, di conseguenza, esiste solo finché noi gli diamo forma.

No. La risposta è no.

Perché quando mi volto verso il sole, vedo ancora il tramonto che cala sulla Sierra Nevada; perché quando soffia il vento ricordo i sospiri che scorrevano nei miei polmoni dentro alla Cattedrale illuminata dalle stelle.

Ricordo la fatica nel togliere le scarpe dopo una notte intera passata a ballare la Sevillana.

Ancora oggi quando salgo le scale ricordo le volte in cui mi perdevo per l’albaicìn e guardavo il sorriso negli occhi della fortuna, che mi permetteva di cogliere quanto fa bene soffermarsi ad apprezzare le piccole cose.

Perché ciò che conta alla fine non è “essere adatti” ma “essere”. Il resto vien da sé.

Sono dovuto andare fino in Spagna per capirlo.

Perché sì, un Erasmus ti cambia, ma alla fine del viaggio sei ancora tu.

Cambia la tua percezione dei tuoi dintorni.

Mi ha aiutato a capire che non vi è un posto chiamato “casa”, poiché dovunque puè esserlo, soprattutto se in compagnia delle persone giuste.

Prima di partire ero convinto che passare tre mesi lontano da casa equivalesse a un’eternità… eppure a volte mi guardo intorno e mi sembra di non essere mai sceso da quell’aereo.

Il luogo che prima rappresentava i miei confini, ora non è altro che l’ennesimo puntino su una mappa che non avevo idea fosse così vasta.

Ora sono qui. La mia vita riprende il suo corso, le persone con cui ho condiviso tutto per tre mesi non vivono più sotto il mio stesso tetto… ma forse dentro di me già attendo l’inizio della prossima avventura da tracciare sulla mappa con una linea rossa.

Quindi, per concludere, sono grato dell’opportunità che mi è stata data e del supporto ricevuto da chi ha permesso che ciò accadesse.

Spero che queste parole possano aiutare qualcuno a fidarsi di sé stesso e del suo prossimo.

E se si dovesse temere ancora la lontananza, o si dovesse aver paura della solitudine, vorrei lasciare un consiglio un po’ personale.

Alzate lo sguardo alla Luna.

Perché non importa quanto lontani si possa andare, alla fine della giornata i nostri occhi si incontreranno sulla stessa Luna.

E poi, chissà, pure le stelle non sembrano così lontane alla fine dei conti…


Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *