Francesco e la sua esperienza come tutor in Polonia con MG2020

Francesco ha passato quasi un mese in Polonia accompagnando un gruppo di giovanissimi alla loro prima esperienza di mobilità internazionale. Quando chiosa il suo articolo dicendo che difficilmente riesce a pensare ad un modo migliore (che viaggiare per conoscere, lavorare, studiare, NDR) per rafforzare la cosiddetta identità europea, capiamo che siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
A te la parola, Francesco.

Non sono vecchio, almeno, mi ritengo ancora abbastanza giovane visti i miei 23 anni. Sebbene sia ancora lontano dalla mezza età, mi piace lavorare con persone più giovani di me. Di tutti i tipi: dai bambini fino ai ragazzi degli ultimi anni di liceo prossimi alla maggiore età, come in questo caso. Ogni individuo per quanto giovane ha una storia importante da raccontare a modo suo. Per questo è importante evitare sempre di sottovalutare o ritenere incompleta una persona solo perché non adulta, come se la gioventù non fosse un’attenuante. Ho passato 24 giorni come tutor linguistico in un progetto di mobilità a Wroclaw (Breslavia), seconda città della Polonia per dimensioni.

Il gruppo di Francesco a Breslavia

Molti di noi non nutrivano molte aspettative su questo paese, per qualsiasi ragioni: luoghi comuni piuttosto che voci sentite. Penso che questa sia stata la ragione per la quale ci sia piaciuto così tanto, a chi più a chi meno. Se fosse stato possibile saremmo rimasti di più. Siamo infatti entrati in quella realtà fin troppo a fondo: abbiamo addirittura provato ad assimilare almeno una base di polacco, con un corso last minute organizzato dal partner di accoglienza Mode (Grazie!), realizzando purtroppo in breve tempo che non fosse cosa per noi. Considerata una della lingue europee più complicate da imparare, il polacco non ha smentito le sue aspettative.

Il cibo, come da buoni italiani all’estero, non è affatto piaciuto (simpaticamente parlando). In particolare, i ragazzi hanno avuto più di una difficoltà riguardo alla cucina, cosa normalissima visto che per la stragrande maggioranza di loro si trattava della prima esperienza all’estero di quasi un mese di durata. Inoltre, penso che la questione del cibo in progetti di mobilità sia un problema spesso sottovalutato, che in realtà andrebbe preso molto sul serio, soprattutto da chi ha la consapevolezza di essere abbastanza selettivo in cucina. Personalmente parlando invece, anche non ritenendo queste tre settimane il periodo migliore della mia vita a livello culinario, mi posso dire sorpreso. Alcuni piatti particolarmente mi hanno entusiasmato, ovvero lo Żurek, una zuppa dall’aspetto nordico, e i Pierogi, una specie di impasto ripieno con verdure, carne e/o altro. Non ho una grande stima per coloro i quali viaggiando, mangiano sempre o quasi in ristoranti specializzati nella cucina del proprio Paese. Penso al cibo come qualcosa che faccia parte di una cultura e che debba perciò essere almeno messo alla prova, un po’ come l’arte. Non si può dire che un museo fa schifo se non lo si è mai visitato.

I ragazzi sono stati grandi, sia individualmente che come gruppo. Non ci sono quasi mai stati problemi riguardanti la questione logistica, ciò sicuramente dovuto in gran parte al loro atteggiamento propositivo all’esperienza di mobilità ma anche all’organizzazione che c’è stata dietro a questo progetto. Fa veramente piacere vedere persone impegnate nella mobilità di ragazzi giovani: questo d’altronde è l’obiettivo del progetto MG2020, il quale si prefissa di arrivare al 4 – 5 % di cittadini europei aventi accesso a progetti di mobilità entro il 2020: per ora la percentuale è sotto l’1%. Difficilmente riesco a pensare ad un modo migliore per rafforzare la cosiddetta identità europea, se non appunto mobilitare gli europei più giovani in diversi Paesi del continente e quindi far sì che si integrino in diverse culture, differenti dalla propria.


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