“Sono in Spagna, più precisamente a Gandia, nella regione della bellissima Valencia, dove mi trovo come Group Leader di cinque studenti dell’IIS Belluzzi-Fioravanti di Bologna. Questi ragazzi stanno svolgendo un tirocinio presso la sede locale dell’azienda Carpigiani Emilia, nell’ambito di una mobilità resa possibile dall’Accreditamento Erasmus+ dell’Istituto.
Sono partita dalla fine, quando li ho visti esitanti rispetto a come valutare e cosa raccontare di quest’esperienza:
- Lo rifaresti?
- Si!
- Certo!
- Assolutamente.
E a quella domanda non hanno più esitato. La magia di Erasmus+ funziona sempre, ho pensato.
- E perché si?
Raccolgo di seguito quello che è venuto fuori a una prima, rapida occhiata dal bagaglio che questi ragazzi si portano a casa, con la certezza che guardando più a fondo si troverebbe molto altro.
ACCOGLIENZA: Non hanno avuto dubbi sul ruolo chiave che ha giocato il sentirsi accolti, e questa è effettivamente nella mia esperienza una costante delle mobilità di successo. L’azienda è stata molto accogliente e disponibile, sia tra i tutor e le persone a capo di ogni reparto che tra il resto dei dipendenti a cui erano affiancati.
Tutto lo staff è stato in grado di metterli a proprio agio nei momenti strettamente formativi, spendendosi per mostrare le task da eseguire, avere sempre la presenza di qualcuno, parlare con loro in diverse lingue, con addirittura la bravura di passare gradualmente dall’italiano allo spagnolo o all’inglese e poi addirittura al valenzano, aggiungendo sfide importanti al percorso degli studenti, ascoltando le loro esigenze e inclinazioni ad esempio cambiando loro reparto quando poteva servire a farli stare meglio o ridurre momenti di stanchezza. È poi stato in grado anche di prendersi cura di loro a livello più umano e relazionale, rivolgendosi a loro in maniera gentile, provando a farli sentire inclusi e cercando di legare anche sul piano personale chiacchierando del più e del meno, consigliando loro posti in cui andare, riaccompagnandoli a casa ogni giorno a fine lavoro per evitare che aspettassero un’altra ora i mezzi pubblici.
In conclusione, sono stati valorizzati.
Per quanto questo sia importante, però, non si può lasciare la dimensione dell’accoglienza esclusivamente in mano all’ente o al Paese ospitante: in questo caso al buon esito hanno contribuito anche i partecipanti: si sono mostrati rispettosi, seri, volenterosi, motivati, riconoscenti. Quando l’atteggiamento è questo, difficile che il risultato sia diverso.
AUTONOMIA E COLLABORAZIONE: Né io né loro neghiamo che questi aspetti fossero già ampiamente sviluppati in questo gruppo, rispetto a come capiti mediamente in ragazzi della loro età alle prese con esperienze del genere per le prime volte.
Sicuramente però questo mese ha dato loro modo di misurarsi, di mettersi alla prova ancora, di conoscere meglio se stessi, quanto di capire come funzionavano come gruppo.
Hanno affrontato egregiamente la convivenza e anche quando hanno discusso sulla gestione della casa lo hanno fatto in maniera adeguata e giungendo a un compromesso in tempi molto brevi. Hanno collaborato sempre e comunque, pur contribuendo ognuno secondo il proprio carattere e le proprie competenze: c’era chi più spesso metteva in campo doti di leadership e organizzative, dicendo cosa ci fosse da fare e incalzando gli altri, chi era molto flessibile nell’adeguarsi alle preferenze altrui permettendo facilmente di giungere ad accordi condivisi, chi faceva da paciere, chi era mostrava grande spirito di iniziativa ed entusiasmo proponendo attività di svago e così via. Ognuno di loro è stato risorsa per il gruppo e il gruppo è stato di molto una risorsa per ognuno di loro.
ORIENTAMENTO E AMBIZIONE: I ragazzi hanno saputo sfruttare l’esperienza per capire meglio cosa piace loro di più e cosa meno, cosa è di più nelle loro corde, senza mai dimenticarsi di rendersi conto che in un ambiente come quello in cui hanno lavorato il lavoro di ogni reparto è fondamentale per gli altri, e sono stati stimolati a farlo a 360 gradi, attraverso attività da molto manuali in linea di produzione a quelle di controllo qualità fino alla partecipazione a videocall con clienti internazionali.
Anche in questo caso l’azienda lo ha reso possibile pianificando che tutti e cinque provassero gli stessi dipartimenti dipartimenti a rotazione: questo ha motivato molto i ragazzi, li ha tenuti attivi, evitando che fossero sempre coinvolti nelle stesse mansioni, che a lungo andare si sarebbero potute rivelare un po’ alienanti o ripetitive, li ha orientati e ha fatto capire loro il funzionamento d’insieme.
Alla fine li ho visti molto più chiaramente proiettati sul loro futuro ed energici nel modo di esprimere le loro ambizioni.
APPARTENENZA: Questo è stato un altro livello importante della mobilità, e in cui di nuovo sono stati bravi a raggiungere l’obiettivo. Essere all’estero e lontani da casa significa non solo essere lontani dalle proprie routine, ma anche dalle proprie cerchie di appartenenza, relazioni, reti sociali. I ragazzi hanno sentito il desiderio di socializzare e di ricreare qui qualcosa del genere, seppur di temporaneo, invece che isolarsi, e sono stati anche consapevoli di quali strategie potessero funzionare meglio. Hanno cercato elementi identitari in comune con altri ragazzi con cui hanno interagito: prima la condizione di studenti e di studenti erasmus in particolare, poi studenti di quello che vorrebbero studiare anche loro, poi che fossero persone molto vicine a loro come età, individuando poi attività che potessero interessare agli altri, ad esempio proponendo partite di beach volley quando hanno visto che la cosa piaceva, o chiedendo loro consigli su che posti visitare a Gandia e nei dintorni, essendo questi altri qui da più tempo, e poi continuando a creare materiale condiviso raccontandosi quale città gli fosse piaciuta e perché, o quale meno.
Hanno capito in poco tempo che non solo per loro fosse importante condividere quest’ esperienza con persone al di fuori del loro gruppo, ma sono riusciti anche molto efficacemente a farlo.
COMPETENZE LINGUISTICHE: Anche su questo che può sembrare un aspetto più scontato, che molti dei partecipanti riportano come obiettivo, i cinque sono arrivati a un buon livello di consapevolezza: si sono resi conto che aver imparato un po’ lo spagnolo li ha resi cognitivamente più flessibili, essersi sforzati di parlarlo anche quando non erano per niente sicuri di quello che dicevano li ha resi molto più sicuri e intraprendenti; per quanto riguarda l’inglese, di cui avevano un buon livello, sono molto soddisfatti di aver praticato e imparato il fare amicizia in inglese, lo scherzare in inglese, insomma un inglese diverso da quello che potevano già conoscere perché appartenente ad altri contesti, insomma l’inglese che a scuola non parli e che al di fuori di queste esperienze non sviluppi.
ADATTAMENTO: Questo argomento finisce in fondo, perché i nostri protagonisti di quest’avventura sono stati talmente bravi ad adattarsi che lo hanno fatto sembrare semplice, quasi non un tema.
Sorridono, comunque, riportando la stranezza e la difficoltà del dover vivere senza bidet, dell’avere una pausa pranzo lunga due ore, in una zona isolata in cui c’era l’azienda e poco altro, quindi in cui non avevano molto da fare, del mangiare comunque un po’ peggio del solito, e qui hanno fatto sorridere anche me quando hanno cominciato a rimpiangere le nonne, senza mai smettere ogni sera di prepararsi sia la cena che il pranzo per il giorno dopo (si erano portati anche già i contenitori da casa, super previdenti!).
Si sono adattati ad un alloggio con problemi di connessione, in cui mancavano alcuni altri elementi di comfort, sempre con un atteggiamento molto easy-going e non polemico.
Ovviamente hanno dovuto abituarsi a molto altro, ma non li ho mai sentiti lamentarsi né della sveglia alle sei né delle pulizie di casa o altre cose. Facevano a gara a chi dovesse fare la doccia per primo e al limite battibeccavano su questo, ma per fortuna perché diversamente non mi sarebbero sembrati diciottenni alle prese con una nuova convivenza.
Aggiungo che hanno manifestato anche il giusto grado di curiosità: scegliere a volte di mangiare in note catene di fast food non ha impedito loro di assaggiare paella e natillas, fino a cose più estreme come il sanguinaccio, né i videogiochi o altri passatempo che avrebbero usato anche a casa propria hanno tolto loro la voglia di esplorare i dintorni, comprese destinazioni meno ovvie di Valencia, come Cullera, un paesino con una fortezza in cima a un colle, o Benidorm, una località in spiaggia con un lungomare molto colorato e una terrazza a picco.
Insomma, ce l’hanno fatta!
Sicuramente faranno tesoro del loro viaggio e io glielo auguro.”
Laura
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